Emorragia uranica (suturata in Pronto Soccorso dal chirurgo di competenza)


Che truce lotta
la luce ingaggia
rossa contro la notte saggia.

Sembra una nuvola
corpo straziato
che gocciola sangue infuocato:

stracci di nubi
ferite nuove:
sanguina il cielo: e infatti piove.

Fitta di nebbia e - forse - una domanda


Dietro un vetro polveroso
la nebbia scioglie il mondo
come un anestetico che freme
risalendo gli anfratti del corpo
dolorante
fino agli occhi – e spegnerli.

Ma qual è il filtro, allora?
Quale la nebbia, quale
la polvere? Che vetro sporco
può mangiarsi il mondo?
Quale farmaco può addormentare
- e addormentando
guarire?
guarire?

Sotto quale luce bigia
puoi dire ‘nebbia’,
sotto che sole
puoi dire ‘vedo’?

Quanti vetri sporchi ancora,
quanta condensa spessa,
quante nebbie fitte,
- e fitte di nebbia -
quante dolci flebo,
quanti occhi appannati,
ancora,
spegneranno un sussulto,
faranno tacere il tremore,
uccideranno il ronzio
di un pensiero in volo?

La nebbia è più vera del mondo.
Forse è una domanda.

L'ho fatto nei posti più strani... (...il coming out!!)


Sollecitato da più parti e quasi terrorizzato da un imperioso commento di Gan (=D), lascio qui qualcosa, giusto perchè nessuno creda che io abbia tentato di imitare le imprese di Armstrong lanciandomi alla conquista della luna (naturalmente per piantare una bandiera rainbow visibile dalla terra nelle notti limpide!!) .

Nell'attesa di scrivere qualcosa di serio, mi accontenterò di qualche considerazione:

1) la questione dei coming out sta davvero degenerando; esaurite le location canoniche (e per lo più erano in mezzo alla strada...), gli ultimi stanno prendendo una piega 'estrema' e preoccupante: uno, qualche sera fa, in macchina, mentre guidavo, rivolgendomi a una persona seduta sul sedile posteriore e accorgendomi sempre all'ultimo momento di curve e semafori rossi... un altro nuotando nella piscina di un parco acquatico, seguito poi da abbraccio-rinsaldatore-d'amicizia semi-subacqueo...

2) perchè per ritirare l'attestato di maturità devo pagare 15,13 € ?? Non voglio, non è giusto; mi dovrebbero pagare loro, altro che... e poi, una volta pagati questi soldi INDEGNAMENTE ESTORTI (ahahah) hanno il coraggio di farmi leggere una circolare in cui c'è scritto che 'purtroppo' non ci sono fondi sufficienti per stampare gli attestati... se lo Stato italiano dovesse dimostrare la propria maturità, credo che sarebbe bocciato...

3) oddio ma io devo iscrivermi all'università? cos'è? si mangia? e va bene, mi butto nel vuoto, provo ad abbandonare le mie 'lettere classiche' e mi lancio nella 'fisica'... ma... in Statale o in Bicocca? (troppe decisioni, signora mia, e le stagioni, le stagioni...! non son più quelle di una volta...)

4) sono in partenza per una settimana via con gli amici e non vedo davvero l'ora... (eppure ho su gli occhiali) (oddio che cosa penosa ho scritto)... 600 km in macchina, ma soprattutto: dividiamoci il pieno di benzina... ;)

5) sono in partenza per una settimana via col vento... si prevede bonaccia, pressione in calo e locali rovesci... mari poco mossi, temperature in risalita...

6) il punto 3) fa pena

7) io amo l'estate

8) io odio l'estate

9) anche il punto 5) fa pena. Il 7) e l'8), invece, sono portatori di una grande verità.

Detto questo, spero promitto e iuro (vogliono il futuro) che tornerò (e infatti ho usato il futuro) a scrivere come al solito... questo consideratelo un pezzo di meta-bloggheria... d'altronde c'è chi si diverte col meta-teatro, chi con la meta-letteratura, addirittura chi con la meta-psicologia e non parliamo di quei burloni che si baloccano con la meta-fisica... e allora io? oh, ad ognuno il suo...

!?

Attenzione: il messaggio che state per leggere puzza; il gestore si esime da ogni responsabilità circa l'uso improprio dello stesso; la presenza di eventuali mosche è fatto normale e assolutamente indice di genuinità del prodotto; si consiglia di servire ben caldo; per una presentazione più fantasiosa, ricreate anche voi, a casa vostra, il famoso 'ricciolo'!

Tutto questo per dire che... mi sto cagando nelle mutande per domani. Ma non lo ammetterò MAI!

IL MIO TESTAMENTO: vi lascio tanto affetto, un po' d'amore, tre sorrisi, due lacrime. Spartiteveli, non possiedo altro. Ah sì, una cornamusa giocattolo comprata in Scozia.

---- Aggiornamento dopo la seduta spiritica:

In realtà è andato tutto bene; per chi non lo sapesse, essendo 'uscito dall'armadio' (cosa che qualcuno può confermare che so fare molto bene anche in senso NON figurato) coi miei genitori, e mammà essendosi spaventata non poco, e papà non emettendo quasi più suono, se non gorgoglii inintellegibili, oggi siamo andati tutti e tre in santa processione dalla sessuologa; [peraltro la sessuologa in questione fa anche la ginecologa, quindi non vedo l'ora di osservare le facce delle candide anime stupefatte nel momento in cui perfidamente dirò una cosa tipo 'l'altro ieri sono stato dalla ginecologa e...' XD]
In ogni caso, come volevasi dimostrare, la duturèsa ha confermato che per quanto mi riguarda 'la sto vivendo bene'; mentre ai miei ha consigliato un'ottima psicoterapeuta... ahahah, mi hanno chiesto di accompagnarli! (porini) (ma stanno migliorando eh...pian pianino)

Apokalypsis

Siediti, mamma
dov’è quella
parola
se non nelle scaglie
bagnate di una diga
infranta nei tuoi
occhi?

Papà, ascolta
s’impiglia quella
parola
nella sigaretta
che ti trema
un attimo
in mano:

ed è un granello
di cenere
che cade
sul bianco
del tavolo?

Dunque è questa
la verità?
Lacrima e cenere?
È dunque questa
la verità?

Col suo sapore storto
di tavolo bianco
di discorso zoppo
tardi di notte.

Oh!

Ma sole o luna?

Luce di notte
e meraviglia.

Di pioggia.


C’è aria di pioggia
e piovo anch’io.
Non è più mio
questo cielo grigio
- cenere e turbine -
non mi appartiene.
Scorre nelle vene
ormai la pioggia
di questo posto.
Nuovi soli e piogge
diverse e albe
terse e nuvole
scialbe vedranno
questi miei occhi
bagnati. Di pioggia.

Di pioggia.

Di pioggia.

Tremate



F§I§N§A§L§M§E§N§T§E
...libero...

Cose a caso

Antologia random di pensieri impensabili.

Mettiti la felpa che fa freddo. Attento al sugo, che schizza.
E ricordati di chiudere bene le palpebre.

Seguiva un solco nel terreno, senza meta e senza la voglia di trovarne una. Seguiva un solco nel terreno, e quando fosse sparito, avrebbe trovato un’altra linea – un canale, la segnaletica stradale, una sgommata, il bordo di una strada – e l’avrebbe seguita. Senza mai alzare gli occhi, stando semplicemente dietro a quella linea, qualunque linea avesse trovato, nel disinteresse per il mondo, concentrato a seguire la traccia scelta. Alla fine qualcuna di quelle linee si sarebbe rivelata un impasse, avrebbe portato a niente o al peggio, si sarebbe ingarbugliata e persa, ritorta su se stessa o sfilacciata in una confusione senza logica, indiscernibile. Lo sapeva. E camminava. Seguiva un solco nel terreno, né sapeva il perché, né se lo chiedeva. Né meta né voglia di trovarne una. Nemmeno, per rigor del vero, interesse nel percorso in sé, nemmeno, ad essere sinceri, l’intenzione di andare avanti, di camminare comunque. No, solo istinto, passo regolato, occhi bassi, seguendo un percorso quasi invisibile e chiaro a nessun altro, seguendo un itinerario folle, una ruga sul mondo, una ruga del mondo. Le vecchie rughe del mondo ci conoscono tutti bene, non fanno differenza, si mostrano con rassicurante equità, un po’ a me, un po’ a te, così vecchie da sembrare sagge, così scavate da suggerirne l’esperienza, così irregolari da perdersi nella notte dell’universo, immagini di scoppi e alluvioni, eruzioni e lapilli, un mondo livido e arroventato, un tizzone ardente in un cielo intatto.

Dormiva un sonno profondo e calmo, ristoro di mente e membra, pace quieta tranquilla dolce come maggio. Sogni di fiori e primavere, sogni di stanchezza riposata, spossatezza placata, inquietudine sfaldata. Scintilla un sogno sfuggito dal chiuso delle palpebre, scintilla nel buio, fugge, ruzzola, (parete) rimbalza (soffitto) ricade, si fa luminoso, riempie lo spazio, s’immilla in mille coriandoli di fuoco e svanisce ed esce dalla finestra, un sogno!, un sogno!, è fuggito un sogno!, riacchiappetelo!, ridatemelo!, presto presto all’armi, al sogno, prendete retini, sacchi e sacchetti inseguitelo, corre luminoso scia nel buio, fuggito!, fuggito!

Sgranando il Rosario

Per circostanze troppo lunghe da spiegare, ho detto il rosario più bello della mia vita (nonché l’unico, finora, e, sinceramente, spero lo rimanga ancora a lungo):

in Toscana
sotto un portico
in mezzo agli ulivi
dopo una cena che passerà alla storia
mentre già faceva buio
mia zia, l’unica seria
mio papà che si è eclissato alla seconda avemaria
il mio cuginetto che scorreggiava tra un’ave e l’altra (io ridevo convulsamente)
mio zio, che a metà, annoiato, se n’è andato via bestemmiando (io ridevo imbarazzantemente)
Dona che rideva (la guardavo e ormai mi faceva male la pancia dal ridere)
mia mamma che rideva (la guardavo e mi facevano male i polmoni dal ridere)


sono morto dal ridere.

amen

(Ebbene sì, il blog funziona a singhiozzo - hic - o, se preferite, spruzza come un rubinetto intasato o, se preferite, ma questa è davvero brutta, scarica come un diarroico in uno dei suoi momenti peggiori... Insomma, un po' ci sono, un po' non ci sono, quando ci sono mi faccio sentire, quando non ci sono è perchè in realtà ci sono ma non ho tempo per esserci, ci sono e non ci sono, oddio, basta!, essere o non essere??)

(Quando non ho tempo per esserci mi manca terribilmente il blog. Questo è un guaio :)

Diciamocelo

Non nego la mia colpa
ma è ormai evidente
un fiero accanimento.

?


Che fai dimmi, allora…

Si spera molto
e ancor di più si sogna.

Che sogni allora, dimmi…

Sogno sperar sognando,
spero sognar sperando.

Ver vere verax


Dove in fondo
alla strada scabra
si rompe l’asfalto
in un rigagnolo
ruzzolante
di sassi grigi

dove l’acre
bitume si
spacca e fugge
spezzettato
e si mischia
a polvere bianca
e ghiaia e sassi

dove smette
la solita processione
dei lampioni
(imprevista
interruzione
di un ritmo verticale)

dove la terra – umida
secca terra polverosa –
ricopre e sporca
e rivela e muore
l’asettico vonciume
dell’asfalto



sta sbocciando il grano.

E accanto alla rongia
che rimpiange l’acqua
(vano rimpianto:
tra poco tornerà)
non so che verde
fende
i solchi del terreno.

E già tra i sassi spuntan margherite
E già nei fossi spuntano le viole.

Freddo e caldo ( SiO2 )


…con la fronte appoggiata su un freddo
vetro

(stanca amorfa silice)

pazzamente

ridevo…

Laughin' flash


Pizzica il solletico
la spina verticale:
brivido lungo,
risata capillare.

Fremito attonito
di riso inaspettato,
sorriso ed ombra:
un lampo calpestato.

...maturato al sole della california come una sunsweet...


(nota aggiunta alla fine ma posizionata all'inizio: no, giuro che io volevo scrivere solamente qualcosa sulla matura che è lì ad aspettarmi a giugno... anzi, praticamente a luglio... ma che ce posso fà se poi ci prendo la mano? chiedo perdono, perdono e pazienza... :D)

Sì, insomma, vi chiedo uno sforzo di immaginazione: soccorrete le mie misere capacità descrittive e immaginate, immaginate voi, quel che io mi vedo davanti agli occhi. Ed ecco che appare un campo, e nel campo prato e piante, e tra le piante un albero, e sull’albero i rami, e tra i rami foglie, e tra le foglie frutti, e tra i frutti un frutto, e entro a quel frutto il mondo. No, anzi, mi scuso: d’altronde lo dicevo, già avevo messo le mani avanti, già vi avevo avvisati sulla mia imprecisione descrittiva, sulla mia poca acribia. No, dunque, non il mondo. Ma un mondo! Un mondo, uno solo, un singolo, personalissimo, alienatissimo, mondo. Un mondo, idiosincratico, autoreferenziale, monadico e chiuso: un mondo solo, ma che vive di sé e per sé. E sapendo questo, perdonerete il mio errore e vi sarà chiaro il perché io dicessi il mondo e non un mondo: per esso il mondo è se stesso, il mondo, l’unico possibile, l’unico immaginabile, l’unico minimamente conosciuto. Ma mi dilungo e mi annoio. Ebbene sì, lo ammetto, riesco ad annoiarmi da solo, ovvero ad annoiare me stesso: c’è un merito, in questo? Non so, di sicuro un conforto: mal comune in mezzo al gaudio. Dunque un frutto, dicevamo, fra le foglie abbracciate ai rami di un albero, là, in mezzo a quel campo di verzure e primizie dell’immaginario, un frutto contenente un mondo che, chiuso entro i limiti del proprio orizzonte, percepisce solo se stesso e pensa di essere tutto. Un frutto con parecchie chiazze verdi, in verità, notate? Un frutto che attende le piogge per placare la sete ed il sole per scaldare la buccia, un frutto che si inebria della linfa che scorre nelle vene dell’albero, linfa verde, di un verde vita che ha qualcosa di spettacolare – superbo. Il frutto pensa – sì certo, è un frutto – e pensa. Che pensa? Pensa a se stesso. Ed in particolare quando il vento lo fa dondolare pericolosamente, quando il vento arriva a spettinare le foglie, quando il vento arriva a grattarsi la schiena sui rami, pensa

pensa

cadrò?

Ed in particolare quando la pioggia scende a piangere lacrime pesanti sul verde, quando la pioggia scende a lavare le rughe antiche dell’albero antico, quando la pioggia scende troppa, bagnata, inzuppante, grave, pensa

pensa

morrò?

Ed in particolare ora, ora e adesso, ora e adesso e in questo momento, ora e adesso e in questo momento e in quell’istante che – ve ne siete accorti? – è appena passato, ed in particolare – subito – con il sole che sta ritornando a splendere e a colorare un po’ quelle chiazze verdi di nuovo colore, a donare consistenza, a donare zucchero – zucchero e polpa – e sali minerali – ora che il sole sta tornando a scaldare la buccia fredda e ingrossare e curare e cullare e – certo – anche – un po’ bruciare, pensa

pensa

ed ora?

cadrò? morrò? ed ora? e se cadrò che sarà? e se morrò che vedrò? – nulla – tu menti – non mento – m’inganni – che c’è? – il vento – che vedi? – le stelle... – son belle? – più belle – di cosa? – del mare – l’hai visto? – che cosa? – il gran mare – in un sogno – com’è? – fa sognare – un sogno nel sogno – ma adesso… sei sveglio? – sì dormo – che senti? – la pioggia – fa male? – un pochino – è dolce? – che cosa? – la pioggia selvaggia – più dolce del vino – t’invidio – non devi – ne bevi? – di cosa? – del sole – ogni tanto – che temi? – non so – non lo sai? – quasi no…

…e aspetta il frutto il raggio del mattino, – aspetta e dorme fra due foglie, l’una
il calore buono dell’ignoranza,
l’altra il freddo tremore di domani,


aspetta e dorme e sogna il mare grande – e sogna il vino forte – e lacrime di pioggia – e il giallo caldo sole,

già canta il gallo l’oro del mattino
e svapora il mare e dilegua il vino…

[...]

(azienda di promozione turistica non autorizzata)

...cose da fare assolutamente quest'estate:


Arrivare in cima al Legnone, senza fermarsi a metà...
(Sì il video c'entra così così, a me non interessa fare riprese aree con eventuali areomodelli... fossero 'modelli' e basta :D Però il posto è quello e il video non è male!)

(Si accettano iscrizioni! Ma tanto lo so che come al solito sarò da solo ad ammazzarmi su 'sti sentieri!!)



Non c'è ombrello che tenga

Ok sono giunto alla conclusione che, nonostante sia fisicamente impossibile per una questioncina di evaporazione e condensazione, nonostante vada contro il senso comune, nonostante non ci si voglia credere, piove proprio merda. Bella, odorosa, fragrante merda. E come quando uno si aggira beato e ignaro per le strade senza ombrello e questa sua mancanza gli è fatale nel momento in cui scoppia l’acquazzone, così uno che torna da Parigi ha una naturale e umana e del tutto comprensibile reazione di stupefatto orrore verso il mondo e sé, quando si accorge che quella che gli piomba addosso in compiaciute traiettorie spiraliformi ed in grossi e caldi goccioloni, altro non è che merda. La reazione è, dicevo, umana e comprensibile. Ora, volendo continuare il paragone, sarà facilmente chiaro a tutti che, una volta appurata l’impossibilità di fermare l’acquazzone, non essendo questa contemplata tra le nostre comuni capacità ed, anzi, esulando totalmente dal nostro campo di azione, è umano e comprensibile – se non addirittura auspicabile – rassegnarsi ad attendere che il cielo si asciughi e la terra pure. Insomma, si aspetta che finisca. E così, proprio a questa stessa maniera, anche nella strana ed imprevista situazione in cui mi trovo, ossia quella in cui piove merda, passata la catabasi infernale dei giorni scorsi, altro non posso fare se non attendere il sereno. Anzi, attendere serenamente il sereno. E Sereno non è un travestito. Insomma, attendere la Stitichezza dei Cieli. Detto questo bisogna anche – per onor del vero e in un impeto gratuito di auto-sincerità – ammettere che se vedo piover merda invece che acqua, questo non è assolutamente dovuto al fatto che piova merda – come potrà confermare qualunque scienziato, biologo, fisico, meteorologo, come anche persona comune – ma piuttosto ad una mia condizione umorale, una disposizione d’animo temporanea e contingente, via, diciamo così. Però, come dicevo, in questi casi devo solo rassegnarmi a me stesso, attendermi, aspettarmi, finche tutte le spie, le lancette e i manometri non siano tornati entro i livelli di guardia. E, dopo, lo so già – lo devo sapere – che come ogni altra volta torna a splendere il sole. Anzi, c’è da sperare che tutta questa merda che ora copre tutto e striscia ovunque e dilaga e invade e affoga, sedimenti poi sotto i raggi del sole e doni i suoi benefici effetti per la nascita di qualcos’altro… D’altronde, anche se sembra strano, ma i fondo, a pensarci, non lo è, la radice di ‘letame’ è proprio ‘laetus’ = ‘lieto’…

“…dal letame
nascono i fior…”

“…E’ quell’infinita tempesta
finita in un rivo canoro
dei fulmini fragili restano
cirri di porpora e d’oro…”

Per dimostrare le buone intenzioni invece dei soliti video che indurrebbero al suicidio persino una capra di montagna, avendola prima resa conscia del suo sicuro quanto tragico destino d'allietare una tavola di campagna o di città - previa cottura - dedicherò uno spazietto a questo genio. Per chi non mastica l'inglese, è comunque fantastica la seconda parte, per chi lo mastica e lo digerisce - il che è più difficoltoso - la prima parte fa morir dal ridere... a uno spettacolo così - no, non si può dire solo 'concerto jazz' - andrei davvero volentieri!



Giovanni e la sua notte dolorosa...

Grande notte
un piccolo letto
una coperta spessa.

Piove o scroscia
forse una fontana:
la musica è la stessa.

Notte piccola
coperta soffocante
e tutto è niente

ed è un’angoscia
il fischio che stride
nella mente.

E tutto è dentro a quella notte greve
E tutto è dentro a quel fischio selvaggio
E tutto è dentro a quel letto angosciante

...v'è dentro un bimbo che non può dormire:
piange; e le stelle passano pian piano.

Non c'era di certo modo migliore per suggellare il centesimo post del blog... snort... umpf...

...faccia ebete e sorriso cretino...

Ed è stato amore a prima vista. Lei, con la sua sensualità esuberante, con la sua austera bellezza, col suo sorriso che sembra volerti prendere in giro. Io, piccolo piccolo al suo confronto, con gli occhi lucidi, esaltato, estasiato, febbrile, morboso. Ci siamo incontrati alla stazione e lei, già dalla stazione, già dal primo momento, ha mostrato il suo volto incantato: ed è stato amore a prima vista. Poi abbiamo passato insieme tre giorni di follia, tre giorni allucinati, entrando in sintonia, cercando l’uno nell’altra una complicità, il polso profondo, una vena segreta, nostra, condivisa. Ed è stata una carezza dolcissima.




Lei è così bella ed io la voglio rivedere. À bientôt, mon amour…


Nella ruvida notte
intonacata
di un buio grande

corre e fischia
un treno
tra campagne ignote.

Dai finestrini, vuote
facce di luce
guardano fisso fisso fuori:

con gli occhi spalancati
dei bambini
quando la nonna racconta

le storie a sera mentre cuce.
E già tramonta
la notte in una fioca luce.

E già più lenti sfilano
i bagliori
addormentati dei paesi.


Se e Quando... (dialogo ad altissimo valore potenziale)


Quando ritorni portami un fiore – dice e già sboccia un sorriso.
Quando ritorno un fiore, credi, ti porterò – dice e già pensa al colore, il colore del fiore, già vede il fiore guidarlo da terre lontane, compagno di viaggio, da lontane terre a casa, a casa…

Quando porta marzo i fiori – porterà marzo anche te?
Quando porta marzo i fiori – io con marzo ed i fiori verrò…

Quando verdi splenderanno i giardini – verde la vita sarà?
Quando verdi splenderanno i giardini – più azzurro il cielo amerà…

Quando ritorni portami un fiore – appassisce il sorriso gualcito.
Quando ritorno un fiore, credi, un fiore ormai io sarò – dice e già pensa al colore, il colore del fiore, già vede il fiore sfiorito sfiancato spento provato emaciato andare lontano, lontano, un petalo ancora sussurra, lontano, nel vento, a casa, a casa mai più…

window = wind + eye


È un vento venuto qui a ricordarci di muoverci, questo. Questo, è un vento messaggero. Un vento che vive, nasce, cresce, una brezza, si ingrossa, corre, galoppa, trotta, e arriva, e spazza spiazza scalcia schiaffa blocca ammazza. Volano i cappelli, i capelli sono fiamme sparse in ogni direzione. È un vento freddo, ma col gelo che si porta appresso ha scoperto e ridato la vita a un sole che ci aveva abbandonato. Un sole tiepido, che sembra primavera. Tu ricerchi gli albicocchi in fiore, ma è ancora secco il pruno, nel giardino dietro a casa mia. E se entri nel bosco – nel bosco tra i campi – il cielo ti sembra una vetrata gotica – la tecnica del cloissonisme – una vetrata azzurra, azzurra come se il mare potesse essersi stemperato e acquerellato per spennellare il cielo, e bagnarlo, azzurra che è in realtà cobalto che è in realtà indaco e anche verde – sì – verde, e ogni scaglia bagnata di cielo è una tessera di un mosaico di vetro – un mosaico sacro di vetro sacro – la grande vetrata fredda alta luminosa di una grande cattedrale sacra. Questo cielo sacro. Ed eccolo arrivato a soffiare – come se il cielo si fosse disciolto e sublimato e trasformato in aria – aria pura – e il cielo stesso – così fatto aria – fosse venuto a correre e galoppare e trottare e spazzare e spiazzare e scalciare e schiaffare e bloccare e ammazzare. Come se schiaffeggiasse se stesso. Cielo contro cielo. La lotta dell’aria azzurra. Così pulito che ti viene voglia di sporcarlo – ormai s’era persa l’abitudine alla limpidezza – tutto così sporco e pesante. Così trasparente che vorresti versarci inchiostro – ormai pareva dovesse solidificarsi, il cielo, e diventare etere denso, turbinoso, materico, spesso. Così gelido, ma non come quando piove ed è gelida l’acqua, non come quando nevica, non come quando è freddo e basta: il vento gelido è nuova vita e ghiaccio che accarezza la pelle, massaggia i capelli, si insinua sotto i vestiti. Violenza purificatrice, rabbia tersa e cruda, la bellezza della forza, potenza in atto, fascino della distruzione. E tutto quello che si può chiedere – è una grazia. Una grazia, una specie di miracolo, una vera redenzione. Potere essere appesi a questo filo che dondola forte con robuste mollette – dondolare subire lo schiaffo del vento schiaffo gelato limpido puro pulito – e sotto un tiepido sole – stare. Semplicemente stare. Come un panno ad asciugare al vento.

Accendi una lampada alogena e puntala su questo piccolo mondo

E i passi rimbombano
nell’aria ferma - saranno,
saranno poi i miei?
C’è l’ odore
di un ciocco buono
consumato sulla brace
di un camino.
Domenica pomeriggio:
il sole quieto è una tiepida calma,
tiepida calma che scalda l’aria,
torpida calma in cui i suoni
sono pochi: pochi
e sembrano annegare
in una quiete maggiore.
E sembra nel moto strano
e grande del grande universo
che stia pensando
di sbocciare un fiore.

Non tutto è quello che sembra

C'è da sgranare gli occhi! Questo disegnatore è maliziosamente un genio! Ma davvero bravo! La musica poi è da morir dal ridere...!




Questione di calzolai e ciabattini

Quando poi sarà pronta questa nostra nazione instupidita, quando poi ci renderemo conto che tutto, tutto sta accadendo come al tempo di Tiberio, che ci si lamenta perché vengono persi i valori repubblicani (allora) e la democrazia (oggi), ma comunque, nonostante questo, vigliaccamente, si delega, si lascia fare (Tiberio e la spirale del potere), quando poi apparirà alla luce del sole il cambiamento che vediamo avvenire, quando poi apriremo la Costituzione e la troveremo cambiata, quando poi consulteremo la legge e ne dovremo accettare l’intolleranza e l’oscurantismo, quando non resterà che un moderno retrivo e un oggi soffocante, forse un guizzo, forse un sussulto muoveranno ancora le nostre pupille assorte, illumineranno la patina calata sull’iride. O forse no, forse sarà persino troppo tardi e tutto sarà stato accettato, tutto sarà diventato ideologia, e sovrastruttura, e sarà impossibile, così inusitatamente faticoso da apparire impossibile, ‘alzare gli occhi a discernere il vero’. Sinceramente, ho paura e ribrezzo.



Scusi non ha un numero in più? Sa, ho il 45 e, così com’è, questo stivale mi va un po’ stretto…




Omnis homines, patres conscripti, qui de rebus dubiis consultant, ab odio, amicitia, ira atque misericordia vacuos esse decet.

Senatori, è bene che tutti gli uomini chiamati a prendere decisioni su questioni poco chiare siano liberi all’odio, dai favoritismi, dall’ira e dalla compassione.

Num negare audes? quid taces? Convincam, si negas.

Osi forse negare? Perché te ne stai zitto? Se dici che non è così, allora convincimi!

O di immortales! ubinam gentium sumus? quam rem publicam habemus? in qua urbe vivimus? Hic, hic sunt, in nostro numero, patres conscripti, in hoc orbis terrae sanctissimo gravissimoque consilio, qui de nostro omnium interitu, qui de huius urbis atque adeo de orbis terrarum exitio cogitent.

O dei immortali! In mezzo a che gente siamo? Quale stato abbiamo? In che città ci ritroviamo a vivere? Sono qui, sono qui tra noi, qui nella nostra assemblea, senatori!, qui in questo consiglio – il più sacro e solenne del mondo! – sono qui, uomini che meditano la nostra morte, uomini che meditano la rovina di questa città e, addirittura, di tutto il mondo!

Poi vabbè il VaniloquenteTrombone (= Cicerone) doveva fare il suo teatrino esagerato (e io in traduzione l’ho anche un po’ aiutato :-p)… però per me son parole che ci stanno a pennello!

Memorie di Gusen




"Io, in certo modo, ero stato preavvisato dell'arresto, non mi è arrivato inaspettato. Sapevo già che ero stato denunciato da qualcheduno, mi avevano fatto anche dei nomi, tre nomi specialmente, e io avrei avuto la possibilità di espatriare: ma con tutta la baracca dei ragazzi non saprei come avrei potuto farlo [...]." Mi ricordo di quella domenica a Mondonico - era il 23 gennaio 1944 - quando sono uscito di casa per andare in studio, ho notato che i cani che avevo allora erano spariti, tutti e due, e mi sono domandato il perché di questo fatto; e così sono andato in studio e ho incominciato a ragionare tra me. Quando ho visto passare le automobili dei fascisti sulla salita che porta al paese, ho pensato che fossero dirette al mio studio e mi son detto "Sono loro". Difatti erano loro [...]. Il bello è che erano venuti in tanti, c'era tutta la casa circondata ed erano armati di mitra e rivoltelle come se avessero dovuto arrestare il brigante Gasparone. [...] Quando a San Vittore ho avuto l'interrogatorio e han tirato fuori l'incartamento che conteneva la denuncia contro di me [...] su di esso c'era segnato in blu una J, ossia Jude, ebreo. Ma non perché fossi considerato un ebreo [...]. L'accusa, si sa, non me l'hanno letta, e non l'ho letta. Dalle domande che mi hanno fatto mi pareva piuttosto confusa, in parte sciocca, in parte falsa, in parte non riguardante me [...]. L'unica accusa precisa - e questo spiega la J sull'incartamento - era che io avevo aiutato un'allieva ebrea agli esami di Brera; ciò che non era neppure vero. L'avevo aiutata come qualsiasi altro allievo che ne avesse avuto bisogno. Solo che mi aveva fatto orrore vedere quella povera ragazza, una bella ragazzina simpatica, messa da parte come se fosse una bestia velenosa; mentre dei miei colleghi, ridicoli, prendevano sul serio quelle cose; ed è stato uno di loro a denunciare il fatto. Poi si è parlato di prigionieri fuggiti che si erano rifugiati in casa mia [...]. Ma in realtà loro si riferivano ad altri prigionieri, non a quei quattro o cinque inglesi che, dopo l'8 settembre, abbiamo accolto in casa per una notte e che il mattino dopo hanno subito raggiunto la Svizzera. [...] Evidentemente tutto quello che era avvenuto intorno a Mondonico era stato attribuito a me. E mi avevano anche messo una spia in casa. Avevamo una donna che veniva a fare i mestieri e che doveva essere legata alla baracca poliziesca [...]. Ricordo una volta, salendo sulla montagna verso San Genesio, ho trovato quei falsi partigiani, o finti contadini, e mi sono messo a chiacchierare. Poi, quando a S. Vittore mi hanno interrogato, mi sono accorto che i fascisti sapevano tutto quello che avevo detto; il che vuol dire che erano tutti dei loro, capisci?".

Aldo Carpi, Memorie di Gusen.

Aldo Carpi era un pittore e in parte anche per questo si salvò. Fu "sfruttato" per eseguire ritratti dei kapo. Ma in una certa misura riusciva a fare qualche schizzo anche per conto suo; ma soprattutto, tornato a Milano, disegnò e dipinse 'a memoria' per tutto il resto della vita... e la memoria non poteva vagare molto lontano da ciò che aveva visto, anzi, vissuto.



…del vento che dorme e che sogna… (parte V)

Quando muore il vento
nella vita della sera,
mi nasce un sentimento,
una specie di speranza.

Già cala il vento. E brillano le stelle.
Le sere strane son sempre le più belle.





(giuro che stavolta è finita davvero... sempre peggio... =)

…splendente più pura del vento… (parte IV)

Quando muore il vento,
in me qualcosa muore
in me qualcosa nasce.
Lo sento arenarsi in mezzo
ai prati ed ai lampioni,
sento il suo spirito forte
stancarsi e rallentare.
Mi sembra tutto stanco,
tutto così tanto stanco,
come se quella forza
spirando ormai spirasse.
E mi prende un sentimento
nero, una malinconia;
il vento, vita e pulsione,
il vento, moto e passione,
fermarsi il vento? no!
Eppure talvolta arriva,
carezza le persiane,
fa un pizzico alle piante,
e piano, e lentamente
cala. E poi più niente.

…che dorme una notte splendente… (parte III)

Quando muore il vento,
come stasera è morto,
la terra liberata
da schiaffi e da sferzate,
ascolta, parla e respira:
i campi e il bosco muovono
parole nella notte;
se vuoi, loro trovano
un posto dentro a te;
io le ho lasciate entrare:
ho deciso di mettere
il ‘silenzioso’ al mondo.
Ed ora il mondo muto
mi parla dolcemente:

quanti segreti che non conoscevo!
quanto tempo che ho buttato via!

…il sonno del vento che dorme… (parte II)

Quando muore il vento
il funerale è grande:
non c’è tristezza né pianto
ma immobilità statica.
Le stelle ancora una volta
ammiccano dolenti
e la luna fa da scolta
ai ladri ed ai dormienti:
già sussurrava il vento
che non sussurra più
e stridevano le foglie
che dormono, oramai.
È morto, è morto il vento
stasera c’è la calma,
una mano sotto al mento
e sento e guardo e penso.

... non svegliate il sonno del vento... (parte I)

Quando muore il vento
nella vita della sera,
quando l’aria si ferma
tra le luci della sera,
eccolo arrivare,
lo aspettavo: un profumo,
un acuto odore
freddo, di terra gelata.

Ed allora posso perfino sognare
di vedere questo cielo nei tuoi occhi.

Della sorte, della fortuna e altre simili stronzate...

Non ci credo, non è possibile che dovendo estrarre a sorte per programmare i vari giri di interrogazioni esca sempre il mio numero. Mi sembra che per essere bendata, questa 'fortuna' ci veda un po' troppo bene... Qui qualcuno mi vuole eliminare!

D'altronde, sul concetto di fortuna è interessante l'esempio della mia amica Minù (o anche Minout, come ragout eheh):

C'era una volta Minù, una dolce e raffinata ragazza, incredibilmente portata per la musica, ma, va detto, anche per i rutti. Mentre la nostra Minù attraversava col suo leggero zaino sulle spalle (40 kg ca) un meraviglioso parcheggio lastricato di ghiaccio, immerso in lande piatte e grigie, carico delle fragranze dei gas di scarico delle automobili, ella si avvide di una luccicante moneta, che giaceva sola e abbandonata nel nevischio calpestato di quel grigio parcheggio di città. Allora la dolce Minù, contenta per tale e tanta fortuna, arrestò il suo rapido passo, per chinarsi a cogliere quel dischetto luccicante, convinta in cuor suo che le avrebbe recato buona fortuna nella verifica che proprio quel giorno, lei, piccola guerriera, avrebbe affrontato. Ma mentre tutto questo cogitava e già si stava chinando a raccogliere il suo fortunato ritrovamente, l'infido ghiaccio le strappò la terra di sotto i piedi ed ella, senza nemmeno il tempo di comprendere, si ritrovò con le terga poggiate sul freddo manto stradale. Allora la dolce Minù disse: " Maporcatroooia! Bastardo di un centesimo! Sto merda di ghiaccio..." e così accalorata raccolse il centesimo portafortuna e si alzò e scivolò e si riassestò e, mormorando soavi parole, si avviò a scuola...

A mille ce n'è nel mio cuore di fiabe da narrar... e con questa meravigliosa storia, assicuro perpetua testimonianza al fatto che la fortuna è un'emerita... (beeeeeeeeeeeeep)

[fortunae plango vulnera / stilantibus ocellis / quod sua mihi munera / subtrahit rebellis...]

Buahahah...

Basta. Dilaga la polemica (pubblicitaria) sul caso povioso... e io rispondo a 'sto povia (lascio l'iniziale minuscola) con un'altra canzone, giusto perchè bisognerebbe far vedere a questo prodotto della g.s. (e non parlo nè di supermercati, nè, figuriamoci!, di gay streets...) cosa significhi essere un vero artista... Ma d'altronde sono scemo io, che penso che l'innominabile abbia una qualche aspirazione artistica e non persegua, invece, una mera ricerca di guadagni...



Il testo, bellissimo, lo si trova qui. Quello che non si trova, invece, è il commento di Faber durante il concerto tenuto allo Smeraldo di Milano il 19/12/1992:

«Questa canzone la dedichiamo a quelle persone che noi continuiamo a chiamare gay oppure, per una strana forma di compiacimento, diversi, se non addirittura culi. Mi fa piacere cantare questa canzone, che per altro è stata scritta per loro una dozzina di anni fa, così a luci accese, anche a dimostrare che oggi, almeno in Europa, si può essere semplicemente se stessi senza più bisogno di vergognarsene»

Povy, tesoro, questo ti fa mangiare la cacca, eh..?

(I deandreiani adesso diranno: seee è arrivato lui a fare la 'scopertadell'acquacalda'... ogni tanto bisogna ridare valore anche a quelle cose date per scontate: basta che salti la caldaia per capire che la 'scopertadell'acquacalda' non è banale come sembra... :)

Vendo tutto, liquidazione totale per cessata attività...

Che poi, se pensi allo sforzo di un pomeriggio passato a tradurre dal greco, non ti viene da ridere? Se pensi che un giorno, non so, magari ieri, eri a sciare, o dove vuoi, vedi tu, e che il giorno dopo, non so, magari oggi, hai gli occhi gonfi e la schiena a pezzi, e vedi letterine dalla strana forma comparire sul muro bianco, e senti suoni che non sono tuoi – morti da migliaia di anni – ronzarti nelle orecchie, non ti viene da ridere?

Che poi, se pensi alle note di un pianoforte, se le vedi materiche e reificate danzare nel tuo campo visivo, se vedi i tasti bianchi e neri cedere sotto la pressione di dita insicure, che tentano, provano, si fermano, ricominciano, se immagini la corda, là dietro, là dentro, vibrare, non tremi, non tremi anche tu?

Che poi, se pensi a una sera a teatro, magari qualche sera fa, a teatro col freddo, ma poi neanche tanto, se pensi alla sera buia fuori e al teatro caldo dentro, se percepisci la sala con il legno e le poltroncine rosse e la scena illuminata e le luci sul soffitto che piano, lentamente, con dolcezza, si affievoliscono, se pensi a un cappello a cilindro che ti ha procurato sguardi curiosi e scettici, non ti viene da dubitare, dubitare che sia successo, che tu fossi lì?

Che poi, se pensi alla tastiera di un computer, ai tasti che significano lettere, alle lettere incatenate ai tasti, se vedi lo strano movimento delle mani che pigiano, schiacciano, saltano, danzano, cercano, trovano, indugiano e si fermano, non senti, non percepisci il solletico di quel picchiettare, il lieve massaggio che ne deriva?

Che poi, se pensi che tu, per la prima volta in tanti anni, davvero, seriamente, vorresti anche, una buona volta, smetterla con questa scuola, uscire, sbattertene, università, lavoro, qualunque cosa, ma qui no, basta, via, se pensi questo, non ti viene da andartene? Non ti viene da andartene…

Che poi. [Ce n’è un altro, di “Che poi”. Ma l’ho tolto. Meglio. Decisamente.]



(Vendesi cervello, quasi nuovo, usato poche volte, tenuto tutto sommato bene, qualche lentezza logica ma per il resto funziona, strapieno di roba – troppa per me – tutti gli optional inclusi. Prezzo ottimo, trattabile. No perditempo.)

Alto (e) fragile.

È un bambino che gioca in strada
in centro a Milano:

c’è un pericolo ovunque vada
però andrà lontano.

Puntualmente ignoro


C’è tra i boschi un posto
nascosto
dove singhiozzano i ruscelli
e strane edicole imbiancate
contengono Madonne
addolorate.

C’è nei mari un porto
nascosto
dove incontrerai soltanto
vecchi pazzi intenti a giocare
con mazzi di parole amare
fino a crepare.

Tu cerca un porto, un posto – ma attento
nascosto – dal mondo
dove affogherai un singhiozzo – nel vento
consolerai intonaci affrescati – con carezze
giocherai con parole di dolore – dolce mente

Tu trova un posto, un porto – lo attendo
nascosto – da questo mondo
e lì potrai affogare – nel vento
e consolare – carezze
e giocare – con dolce mente.

L’acqua – gorgoglierà
gronderà
laverà
pulirà;

L’intonaco – splenderà
curerà
canterà
cullerà.

Un vecchio – berrà
ricorderà
parlerà
morirà.

E il mondo – scommetti?
starà ancora danzando.
E anche tu – lo ammetti?
lo segui tremando…

Convalescenza a seguito di ololeucia panica acuta...

Addio neve
che in questi strani giorni
mi hai fatto compagnia,
neve addio.

Ora scivoli
giù dai tetti che mostrano
il rosso che prima era
ben nascosto.

Già ritorna
il colore del mondo
e già la terra sembra
assorbire

questo mare ghiacciato

assorbire

questi giorni passati
come in isolamento

assorbire

la piccola vendetta
presa dalla natura
sull’asfalto e il bitume.

Qualcuno che bussa alla mia porta:
nel buio un telefono che squilla.
Chi sei?
E la neve?

Il silenzio,
quell’attimo
silenzio:


e la neve

già più

non c’è.






(Ehm... sì lo so che sono ripetitivo... perdono!)

Aggiornamento (dopo aver scoperto un'arcana 'idiomatic expression' piemontese):






Uhm... ma quale delle due?


Oh, ma che peccato! Ironico? Io? naaa

Questo non l'ho scritto io, ma è letteratura così raffinata e gradita che non potevo esimermi dal postarlo...

EMERGENZA NEVE: ORDINANZA CHIUSURA SCUOLE


Considerata la violenta nevicata che ha colpito il territorio comunale nelle giornate di martedì 06.01.2009 e mercoledì 07.01.2009 e che ha creato gravi disagi alla circolazione stradale, tali da non garantire la sicurezza e la percorribilità delle vie di accesso alle Scuole del territorio;


Sentiti tutti i Dirigenti Scolastici;
Ritenuto opportuno ed urgente disporre la chiusura di tutte le Scuole esistenti sul territorio del Comune di Magenta di ogni ordine e grado, compresi Asili Nido e Scuole Materne, al fine di eliminare ogni pericolo per la pubblica incolumità;
Visto l´art. 54 del Testo Unico 18 agosto 2000, n: 267 delle Leggi sull´Ordinamento degli enti Locali;
O R D I N A
- per i motivi espressi in narrativa, per i giorni Giovedì 08.01.2009 e Venerdì 09.01.2009 la chiusura di tutte le Scuole del Comune di Magenta di ogni ordine e grado, compresi Asili Nido e Scuole Materne.
Il presente provvedimento viene reso noto mediante l´inoltro a tutti gli Istituti scolastici per la successiva affissione al loro ingresso.
Magenta, lì 07.01.2009

IL SINDACO
(Del Gobbo Dott. Luca)

Ahahahah. Ah!

Magic of translations

Ave Caesar, morituri te salutant.

Tradotto:

Con l’uccello, Cesare, ti salutano quelli che stanno per morire!
(“Col cazzo” sarebbe stata una traduzione troppo libera…)

O anche:

(Con tono stupito e indicando vistosamente)
O Cesare, quelli che stanno per morire ti salutano con l’uccello!

Pregasi notare che sono entrambe perfettamente corrette dal punto di vista grammaticale. E ai prof di latino, chi gliel’ha detto che quell’ “ave” vuol dire “salve”? Io traduco come voglio…

Le promesse del vecchio marinaio

Io l’avevo promesso
a me stesso di smettere
con questi pensieracci
odiosi.

E ci sarei riuscito
ma la neve ha bloccato
le strade e sono qui
da solo.

Io che già rivedevo
le facce degli amici:
e invece sto in silenzio
da solo.

Boh... Mah...

C’è il sole che brilla sulla neve. Solo ieri, questa stessa neve era grigia, specchio di un cielo torbido e lattiginoso, specchio di una nuvola che imbavagliava i monti. E me. Ma già oggi - solo ventiquattro ore! - già oggi c’è un sole beato che illumina il mondo. E c’è un pettirosso che becchetta le briciole sul mio praticello imbiancato, e lo orna con i suoi piccoli balzi, e sembra quasi scrivere se stesso, lasciando sulla neve, con quelle sue zampette leggere, tante lettere in una lingua incomprensibile. Nell’alfabeto della natura. Tra quei segni lievi mi perdo volentieri ad ascoltare la luce che piano piano - io non ho fretta, non ora, non qui - discende lungo i versanti, illuminandone gli anfratti più impervi, massaggiando le pareti di roccia ed i boschi. Mi perdo volentieri a guardare l’aria che diventa frizzante, perde il gelo della notte e acquista i colori del giorno, limpido giorno d’inverno. Sono al freddo - fa freddo - e non posso che pensare al mondo che si sveglia e a me - sempre questi ‘io’ - e a me - egoista - e a me e al mondo che si sveglia - io? - e mi guardo in giro e faccio fatica quasi a pensare - fa freddo - ma penso - fa freddo - penso a me - che freddo - a me che sto pensando in silenzio nel freddo - freddo e bianco - la neve carezza il ghiaccio - ho freddo e non posso che pensare a quanto sia inutile - ho freddo - inutile consumarsi in quelle piccole - già sorge il sole - piccole inezie dolorose - piccoli dolori da nulla - già sorge il sole, perché indugiano ancor? - e allora - fa freddo, lo sai? - a allora sai che ti dico? - freddo, tremo, i monti sono rosa - dico che aveva ragione - ormai si vede l’aurora sul suo carro di fuoco - aveva ragione - ormai appare Aurora dalle dita di rosa - aveva ragione Cesare - anche tu Aurora, condannata a un amore impossibile? - Cesare che diceva - anche Aurora, lei bella, lei rosa, lei grande, lei fuoco e dolcezza, anche Aurora condannata ad amare e soffrire - aveva ragione Cesare a dire:

Neque quoiquam mortalium iniuriae suae parvae videntur.
A nessuno sembrano da nulla i torti subiti.

A nessuno - ed i monti da rosa diventano bianchi - a nessuno - già si alza questo sole freddo ma amico - a nessuno le sue disgrazie sembrano piccole - nessuno che vede quest’alba oltre a me? - a nessuno, per quanto insignificanti - nessuno che vede quest’alba con me? - per quanto da nulla a nessuno sembrano piccoli i proprio problemi - solo col sole - la neve ha paura del sole - la neve che scherza col sole - il sole non vuole ferire la neve - il sole che ama la neve - il sole che uccide la neve.

È un sole che ama la neve e la uccide.
La ama, la cerca, la uccide.

La ama

la cerca

la uccide.


Ed io solo col sole.








I'm back. Again.