Sì, insomma, vi chiedo uno sforzo di immaginazione: soccorrete le mie misere capacità descrittive e immaginate, immaginate voi, quel che io mi vedo davanti agli occhi. Ed ecco che appare un campo, e nel campo prato e piante, e tra le piante un albero, e sull’albero i rami, e tra i rami foglie, e tra le foglie frutti, e tra i frutti un frutto, e entro a quel frutto il mondo. No, anzi, mi scuso: d’altronde lo dicevo, già avevo messo le mani avanti, già vi avevo avvisati sulla mia imprecisione descrittiva, sulla mia poca acribia. No, dunque, non il mondo. Ma un mondo! Un mondo, uno solo, un singolo, personalissimo, alienatissimo, mondo. Un mondo, idiosincratico, autoreferenziale, monadico e chiuso: un mondo solo, ma che vive di sé e per sé. E sapendo questo, perdonerete il mio errore e vi sarà chiaro il perché io dicessi il mondo e non un mondo: per esso il mondo è se stesso, il mondo, l’unico possibile, l’unico immaginabile, l’unico minimamente conosciuto. Ma mi dilungo e mi annoio. Ebbene sì, lo ammetto, riesco ad annoiarmi da solo, ovvero ad annoiare me stesso: c’è un merito, in questo? Non so, di sicuro un conforto: mal comune in mezzo al gaudio. Dunque un frutto, dicevamo, fra le foglie abbracciate ai rami di un albero, là, in mezzo a quel campo di verzure e primizie dell’immaginario, un frutto contenente un mondo che, chiuso entro i limiti del proprio orizzonte, percepisce solo se stesso e pensa di essere tutto. Un frutto con parecchie chiazze verdi, in verità, notate? Un frutto che attende le piogge per placare la sete ed il sole per scaldare la buccia, un frutto che si inebria della linfa che scorre nelle vene dell’albero, linfa verde, di un verde vita che ha qualcosa di spettacolare – superbo. Il frutto pensa – sì certo, è un frutto – e pensa. Che pensa? Pensa a se stesso. Ed in particolare quando il vento lo fa dondolare pericolosamente, quando il vento arriva a spettinare le foglie, quando il vento arriva a grattarsi la schiena sui rami, pensa
pensa
cadrò?
pensa
morrò?
pensa
ed ora?
…e aspetta il frutto il raggio del mattino, – aspetta e dorme fra due foglie, l’una
aspetta e dorme e sogna il mare grande – e sogna il vino forte – e lacrime di pioggia – e il giallo caldo sole,
7 commenti:
Sublime.
Faccio bene a romperti lebàl a che tu scriva per un pubblico "vasto" (sì, insomma).
Mimnermo, in confronto, è un bifolco; e soprattutto il mondo ti merita -chè, ho il sospetto, di microcosmi privati si soffoca-.
Ribadisco, sublime.
Bellissimo, sublime... ha ragione Ghost
Adulatori!
:D
(ehm ma non avete un po' esagerato? su su un po' di realismo, si fa quel che si può! comunque grazie)
Thrasùs!
Thrasùs!
Il ciuco ha capito ! ha capito !
Non dice nulla...bruca in silenzio le tue parole e sogna i tuoi sogni...
Ah, i grandi, sublimi interrogativi dell'esistenza!
Chi siamo?
Da dove veniamo?
Quanti universi ci compongono?
Ma soprattutto: dove andiamo a mangiare la pizza?
(Giusto per sdrammatizzare, eh? Che la mia auto-drammatizzazione comincia ad uscirmi dalle orecchie!)
@ Ribaldo:
...non sai che piacere mi fa che il ciuco abbia capito... evidentemente tra ciuchi ci si intende! ( grazie , davvero, hai scritto un commento stupendo... ma stai attento a sognare i miei sogni, non so se lo consiglierei a qualcuno :D)...
@ Gan:
Signor Gan, lei cominciava ad impensierire la blogosfera!
Visto quante domande? E pensi che non so rispondere nemmeno ad una! Ma solo perchè ora sono impreparato... anche se sull'ultima potrei avanzare delle ipotesi... (bisogna promuovere la sdrammatizzazione, hai perfettamente ragione... e sono contento del fatto che ricominci a spuntare sulla rete...)
Spero che il frutto non sia successivamente finito in marmellata.
Comunque, complimenti, mi è piaciuta l'accellerazione progressiva del ritmo. In gamba.
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