Memorie di Gusen




"Io, in certo modo, ero stato preavvisato dell'arresto, non mi è arrivato inaspettato. Sapevo già che ero stato denunciato da qualcheduno, mi avevano fatto anche dei nomi, tre nomi specialmente, e io avrei avuto la possibilità di espatriare: ma con tutta la baracca dei ragazzi non saprei come avrei potuto farlo [...]." Mi ricordo di quella domenica a Mondonico - era il 23 gennaio 1944 - quando sono uscito di casa per andare in studio, ho notato che i cani che avevo allora erano spariti, tutti e due, e mi sono domandato il perché di questo fatto; e così sono andato in studio e ho incominciato a ragionare tra me. Quando ho visto passare le automobili dei fascisti sulla salita che porta al paese, ho pensato che fossero dirette al mio studio e mi son detto "Sono loro". Difatti erano loro [...]. Il bello è che erano venuti in tanti, c'era tutta la casa circondata ed erano armati di mitra e rivoltelle come se avessero dovuto arrestare il brigante Gasparone. [...] Quando a San Vittore ho avuto l'interrogatorio e han tirato fuori l'incartamento che conteneva la denuncia contro di me [...] su di esso c'era segnato in blu una J, ossia Jude, ebreo. Ma non perché fossi considerato un ebreo [...]. L'accusa, si sa, non me l'hanno letta, e non l'ho letta. Dalle domande che mi hanno fatto mi pareva piuttosto confusa, in parte sciocca, in parte falsa, in parte non riguardante me [...]. L'unica accusa precisa - e questo spiega la J sull'incartamento - era che io avevo aiutato un'allieva ebrea agli esami di Brera; ciò che non era neppure vero. L'avevo aiutata come qualsiasi altro allievo che ne avesse avuto bisogno. Solo che mi aveva fatto orrore vedere quella povera ragazza, una bella ragazzina simpatica, messa da parte come se fosse una bestia velenosa; mentre dei miei colleghi, ridicoli, prendevano sul serio quelle cose; ed è stato uno di loro a denunciare il fatto. Poi si è parlato di prigionieri fuggiti che si erano rifugiati in casa mia [...]. Ma in realtà loro si riferivano ad altri prigionieri, non a quei quattro o cinque inglesi che, dopo l'8 settembre, abbiamo accolto in casa per una notte e che il mattino dopo hanno subito raggiunto la Svizzera. [...] Evidentemente tutto quello che era avvenuto intorno a Mondonico era stato attribuito a me. E mi avevano anche messo una spia in casa. Avevamo una donna che veniva a fare i mestieri e che doveva essere legata alla baracca poliziesca [...]. Ricordo una volta, salendo sulla montagna verso San Genesio, ho trovato quei falsi partigiani, o finti contadini, e mi sono messo a chiacchierare. Poi, quando a S. Vittore mi hanno interrogato, mi sono accorto che i fascisti sapevano tutto quello che avevo detto; il che vuol dire che erano tutti dei loro, capisci?".

Aldo Carpi, Memorie di Gusen.

Aldo Carpi era un pittore e in parte anche per questo si salvò. Fu "sfruttato" per eseguire ritratti dei kapo. Ma in una certa misura riusciva a fare qualche schizzo anche per conto suo; ma soprattutto, tornato a Milano, disegnò e dipinse 'a memoria' per tutto il resto della vita... e la memoria non poteva vagare molto lontano da ciò che aveva visto, anzi, vissuto.



…del vento che dorme e che sogna… (parte V)

Quando muore il vento
nella vita della sera,
mi nasce un sentimento,
una specie di speranza.

Già cala il vento. E brillano le stelle.
Le sere strane son sempre le più belle.





(giuro che stavolta è finita davvero... sempre peggio... =)

…splendente più pura del vento… (parte IV)

Quando muore il vento,
in me qualcosa muore
in me qualcosa nasce.
Lo sento arenarsi in mezzo
ai prati ed ai lampioni,
sento il suo spirito forte
stancarsi e rallentare.
Mi sembra tutto stanco,
tutto così tanto stanco,
come se quella forza
spirando ormai spirasse.
E mi prende un sentimento
nero, una malinconia;
il vento, vita e pulsione,
il vento, moto e passione,
fermarsi il vento? no!
Eppure talvolta arriva,
carezza le persiane,
fa un pizzico alle piante,
e piano, e lentamente
cala. E poi più niente.

…che dorme una notte splendente… (parte III)

Quando muore il vento,
come stasera è morto,
la terra liberata
da schiaffi e da sferzate,
ascolta, parla e respira:
i campi e il bosco muovono
parole nella notte;
se vuoi, loro trovano
un posto dentro a te;
io le ho lasciate entrare:
ho deciso di mettere
il ‘silenzioso’ al mondo.
Ed ora il mondo muto
mi parla dolcemente:

quanti segreti che non conoscevo!
quanto tempo che ho buttato via!

…il sonno del vento che dorme… (parte II)

Quando muore il vento
il funerale è grande:
non c’è tristezza né pianto
ma immobilità statica.
Le stelle ancora una volta
ammiccano dolenti
e la luna fa da scolta
ai ladri ed ai dormienti:
già sussurrava il vento
che non sussurra più
e stridevano le foglie
che dormono, oramai.
È morto, è morto il vento
stasera c’è la calma,
una mano sotto al mento
e sento e guardo e penso.

... non svegliate il sonno del vento... (parte I)

Quando muore il vento
nella vita della sera,
quando l’aria si ferma
tra le luci della sera,
eccolo arrivare,
lo aspettavo: un profumo,
un acuto odore
freddo, di terra gelata.

Ed allora posso perfino sognare
di vedere questo cielo nei tuoi occhi.

Della sorte, della fortuna e altre simili stronzate...

Non ci credo, non è possibile che dovendo estrarre a sorte per programmare i vari giri di interrogazioni esca sempre il mio numero. Mi sembra che per essere bendata, questa 'fortuna' ci veda un po' troppo bene... Qui qualcuno mi vuole eliminare!

D'altronde, sul concetto di fortuna è interessante l'esempio della mia amica Minù (o anche Minout, come ragout eheh):

C'era una volta Minù, una dolce e raffinata ragazza, incredibilmente portata per la musica, ma, va detto, anche per i rutti. Mentre la nostra Minù attraversava col suo leggero zaino sulle spalle (40 kg ca) un meraviglioso parcheggio lastricato di ghiaccio, immerso in lande piatte e grigie, carico delle fragranze dei gas di scarico delle automobili, ella si avvide di una luccicante moneta, che giaceva sola e abbandonata nel nevischio calpestato di quel grigio parcheggio di città. Allora la dolce Minù, contenta per tale e tanta fortuna, arrestò il suo rapido passo, per chinarsi a cogliere quel dischetto luccicante, convinta in cuor suo che le avrebbe recato buona fortuna nella verifica che proprio quel giorno, lei, piccola guerriera, avrebbe affrontato. Ma mentre tutto questo cogitava e già si stava chinando a raccogliere il suo fortunato ritrovamente, l'infido ghiaccio le strappò la terra di sotto i piedi ed ella, senza nemmeno il tempo di comprendere, si ritrovò con le terga poggiate sul freddo manto stradale. Allora la dolce Minù disse: " Maporcatroooia! Bastardo di un centesimo! Sto merda di ghiaccio..." e così accalorata raccolse il centesimo portafortuna e si alzò e scivolò e si riassestò e, mormorando soavi parole, si avviò a scuola...

A mille ce n'è nel mio cuore di fiabe da narrar... e con questa meravigliosa storia, assicuro perpetua testimonianza al fatto che la fortuna è un'emerita... (beeeeeeeeeeeeep)

[fortunae plango vulnera / stilantibus ocellis / quod sua mihi munera / subtrahit rebellis...]

Buahahah...

Basta. Dilaga la polemica (pubblicitaria) sul caso povioso... e io rispondo a 'sto povia (lascio l'iniziale minuscola) con un'altra canzone, giusto perchè bisognerebbe far vedere a questo prodotto della g.s. (e non parlo nè di supermercati, nè, figuriamoci!, di gay streets...) cosa significhi essere un vero artista... Ma d'altronde sono scemo io, che penso che l'innominabile abbia una qualche aspirazione artistica e non persegua, invece, una mera ricerca di guadagni...



Il testo, bellissimo, lo si trova qui. Quello che non si trova, invece, è il commento di Faber durante il concerto tenuto allo Smeraldo di Milano il 19/12/1992:

«Questa canzone la dedichiamo a quelle persone che noi continuiamo a chiamare gay oppure, per una strana forma di compiacimento, diversi, se non addirittura culi. Mi fa piacere cantare questa canzone, che per altro è stata scritta per loro una dozzina di anni fa, così a luci accese, anche a dimostrare che oggi, almeno in Europa, si può essere semplicemente se stessi senza più bisogno di vergognarsene»

Povy, tesoro, questo ti fa mangiare la cacca, eh..?

(I deandreiani adesso diranno: seee è arrivato lui a fare la 'scopertadell'acquacalda'... ogni tanto bisogna ridare valore anche a quelle cose date per scontate: basta che salti la caldaia per capire che la 'scopertadell'acquacalda' non è banale come sembra... :)

Vendo tutto, liquidazione totale per cessata attività...

Che poi, se pensi allo sforzo di un pomeriggio passato a tradurre dal greco, non ti viene da ridere? Se pensi che un giorno, non so, magari ieri, eri a sciare, o dove vuoi, vedi tu, e che il giorno dopo, non so, magari oggi, hai gli occhi gonfi e la schiena a pezzi, e vedi letterine dalla strana forma comparire sul muro bianco, e senti suoni che non sono tuoi – morti da migliaia di anni – ronzarti nelle orecchie, non ti viene da ridere?

Che poi, se pensi alle note di un pianoforte, se le vedi materiche e reificate danzare nel tuo campo visivo, se vedi i tasti bianchi e neri cedere sotto la pressione di dita insicure, che tentano, provano, si fermano, ricominciano, se immagini la corda, là dietro, là dentro, vibrare, non tremi, non tremi anche tu?

Che poi, se pensi a una sera a teatro, magari qualche sera fa, a teatro col freddo, ma poi neanche tanto, se pensi alla sera buia fuori e al teatro caldo dentro, se percepisci la sala con il legno e le poltroncine rosse e la scena illuminata e le luci sul soffitto che piano, lentamente, con dolcezza, si affievoliscono, se pensi a un cappello a cilindro che ti ha procurato sguardi curiosi e scettici, non ti viene da dubitare, dubitare che sia successo, che tu fossi lì?

Che poi, se pensi alla tastiera di un computer, ai tasti che significano lettere, alle lettere incatenate ai tasti, se vedi lo strano movimento delle mani che pigiano, schiacciano, saltano, danzano, cercano, trovano, indugiano e si fermano, non senti, non percepisci il solletico di quel picchiettare, il lieve massaggio che ne deriva?

Che poi, se pensi che tu, per la prima volta in tanti anni, davvero, seriamente, vorresti anche, una buona volta, smetterla con questa scuola, uscire, sbattertene, università, lavoro, qualunque cosa, ma qui no, basta, via, se pensi questo, non ti viene da andartene? Non ti viene da andartene…

Che poi. [Ce n’è un altro, di “Che poi”. Ma l’ho tolto. Meglio. Decisamente.]



(Vendesi cervello, quasi nuovo, usato poche volte, tenuto tutto sommato bene, qualche lentezza logica ma per il resto funziona, strapieno di roba – troppa per me – tutti gli optional inclusi. Prezzo ottimo, trattabile. No perditempo.)

Alto (e) fragile.

È un bambino che gioca in strada
in centro a Milano:

c’è un pericolo ovunque vada
però andrà lontano.

Puntualmente ignoro


C’è tra i boschi un posto
nascosto
dove singhiozzano i ruscelli
e strane edicole imbiancate
contengono Madonne
addolorate.

C’è nei mari un porto
nascosto
dove incontrerai soltanto
vecchi pazzi intenti a giocare
con mazzi di parole amare
fino a crepare.

Tu cerca un porto, un posto – ma attento
nascosto – dal mondo
dove affogherai un singhiozzo – nel vento
consolerai intonaci affrescati – con carezze
giocherai con parole di dolore – dolce mente

Tu trova un posto, un porto – lo attendo
nascosto – da questo mondo
e lì potrai affogare – nel vento
e consolare – carezze
e giocare – con dolce mente.

L’acqua – gorgoglierà
gronderà
laverà
pulirà;

L’intonaco – splenderà
curerà
canterà
cullerà.

Un vecchio – berrà
ricorderà
parlerà
morirà.

E il mondo – scommetti?
starà ancora danzando.
E anche tu – lo ammetti?
lo segui tremando…

Convalescenza a seguito di ololeucia panica acuta...

Addio neve
che in questi strani giorni
mi hai fatto compagnia,
neve addio.

Ora scivoli
giù dai tetti che mostrano
il rosso che prima era
ben nascosto.

Già ritorna
il colore del mondo
e già la terra sembra
assorbire

questo mare ghiacciato

assorbire

questi giorni passati
come in isolamento

assorbire

la piccola vendetta
presa dalla natura
sull’asfalto e il bitume.

Qualcuno che bussa alla mia porta:
nel buio un telefono che squilla.
Chi sei?
E la neve?

Il silenzio,
quell’attimo
silenzio:


e la neve

già più

non c’è.






(Ehm... sì lo so che sono ripetitivo... perdono!)

Aggiornamento (dopo aver scoperto un'arcana 'idiomatic expression' piemontese):






Uhm... ma quale delle due?


Oh, ma che peccato! Ironico? Io? naaa

Questo non l'ho scritto io, ma è letteratura così raffinata e gradita che non potevo esimermi dal postarlo...

EMERGENZA NEVE: ORDINANZA CHIUSURA SCUOLE


Considerata la violenta nevicata che ha colpito il territorio comunale nelle giornate di martedì 06.01.2009 e mercoledì 07.01.2009 e che ha creato gravi disagi alla circolazione stradale, tali da non garantire la sicurezza e la percorribilità delle vie di accesso alle Scuole del territorio;


Sentiti tutti i Dirigenti Scolastici;
Ritenuto opportuno ed urgente disporre la chiusura di tutte le Scuole esistenti sul territorio del Comune di Magenta di ogni ordine e grado, compresi Asili Nido e Scuole Materne, al fine di eliminare ogni pericolo per la pubblica incolumità;
Visto l´art. 54 del Testo Unico 18 agosto 2000, n: 267 delle Leggi sull´Ordinamento degli enti Locali;
O R D I N A
- per i motivi espressi in narrativa, per i giorni Giovedì 08.01.2009 e Venerdì 09.01.2009 la chiusura di tutte le Scuole del Comune di Magenta di ogni ordine e grado, compresi Asili Nido e Scuole Materne.
Il presente provvedimento viene reso noto mediante l´inoltro a tutti gli Istituti scolastici per la successiva affissione al loro ingresso.
Magenta, lì 07.01.2009

IL SINDACO
(Del Gobbo Dott. Luca)

Ahahahah. Ah!

Magic of translations

Ave Caesar, morituri te salutant.

Tradotto:

Con l’uccello, Cesare, ti salutano quelli che stanno per morire!
(“Col cazzo” sarebbe stata una traduzione troppo libera…)

O anche:

(Con tono stupito e indicando vistosamente)
O Cesare, quelli che stanno per morire ti salutano con l’uccello!

Pregasi notare che sono entrambe perfettamente corrette dal punto di vista grammaticale. E ai prof di latino, chi gliel’ha detto che quell’ “ave” vuol dire “salve”? Io traduco come voglio…

Le promesse del vecchio marinaio

Io l’avevo promesso
a me stesso di smettere
con questi pensieracci
odiosi.

E ci sarei riuscito
ma la neve ha bloccato
le strade e sono qui
da solo.

Io che già rivedevo
le facce degli amici:
e invece sto in silenzio
da solo.

Boh... Mah...

C’è il sole che brilla sulla neve. Solo ieri, questa stessa neve era grigia, specchio di un cielo torbido e lattiginoso, specchio di una nuvola che imbavagliava i monti. E me. Ma già oggi - solo ventiquattro ore! - già oggi c’è un sole beato che illumina il mondo. E c’è un pettirosso che becchetta le briciole sul mio praticello imbiancato, e lo orna con i suoi piccoli balzi, e sembra quasi scrivere se stesso, lasciando sulla neve, con quelle sue zampette leggere, tante lettere in una lingua incomprensibile. Nell’alfabeto della natura. Tra quei segni lievi mi perdo volentieri ad ascoltare la luce che piano piano - io non ho fretta, non ora, non qui - discende lungo i versanti, illuminandone gli anfratti più impervi, massaggiando le pareti di roccia ed i boschi. Mi perdo volentieri a guardare l’aria che diventa frizzante, perde il gelo della notte e acquista i colori del giorno, limpido giorno d’inverno. Sono al freddo - fa freddo - e non posso che pensare al mondo che si sveglia e a me - sempre questi ‘io’ - e a me - egoista - e a me e al mondo che si sveglia - io? - e mi guardo in giro e faccio fatica quasi a pensare - fa freddo - ma penso - fa freddo - penso a me - che freddo - a me che sto pensando in silenzio nel freddo - freddo e bianco - la neve carezza il ghiaccio - ho freddo e non posso che pensare a quanto sia inutile - ho freddo - inutile consumarsi in quelle piccole - già sorge il sole - piccole inezie dolorose - piccoli dolori da nulla - già sorge il sole, perché indugiano ancor? - e allora - fa freddo, lo sai? - a allora sai che ti dico? - freddo, tremo, i monti sono rosa - dico che aveva ragione - ormai si vede l’aurora sul suo carro di fuoco - aveva ragione - ormai appare Aurora dalle dita di rosa - aveva ragione Cesare - anche tu Aurora, condannata a un amore impossibile? - Cesare che diceva - anche Aurora, lei bella, lei rosa, lei grande, lei fuoco e dolcezza, anche Aurora condannata ad amare e soffrire - aveva ragione Cesare a dire:

Neque quoiquam mortalium iniuriae suae parvae videntur.
A nessuno sembrano da nulla i torti subiti.

A nessuno - ed i monti da rosa diventano bianchi - a nessuno - già si alza questo sole freddo ma amico - a nessuno le sue disgrazie sembrano piccole - nessuno che vede quest’alba oltre a me? - a nessuno, per quanto insignificanti - nessuno che vede quest’alba con me? - per quanto da nulla a nessuno sembrano piccoli i proprio problemi - solo col sole - la neve ha paura del sole - la neve che scherza col sole - il sole non vuole ferire la neve - il sole che ama la neve - il sole che uccide la neve.

È un sole che ama la neve e la uccide.
La ama, la cerca, la uccide.

La ama

la cerca

la uccide.


Ed io solo col sole.








I'm back. Again.