Palpita piano

Era sera ed ero stanco: che strana vita di luce nel buio e d’ombre tra le fiamme. Tra i più minuscoli puntini luminosi di una televisione non c’è forse uno spazio vuoto, una tenebra indecifrabile, un’amara indefinitezza? Non c’è, forse, anche nel giorno di sole, la nuvola candida che oscura un attimo il chiarore meridiano? E se non c’è, non siamo noi stessi a ricercarlo, quel momento di buio, quell’attimo di tregua per gli occhi affaticati, abbarbagliati dai raggi laceranti? Ed assecondando la richiesta pregata ed urlata delle pupille, assecondando il corpo che si scioglie, rifuggiamo il sole, ricerchiamo ombra e frescura, ristoro delle membra, solitaria pace che sopraggiunge ed imperversa nell’animo abbagliato. Così, pare, ci fuggiamo, mettiamo distanza tra noi e noi stessi, accecati dalla consapevolezza di un’identità che non è mai propria, che ha sempre squarci di luce capace di ferire e ombre buie ed insondabili che, soltanto, possono suscitare timore, terrore, ampi beccheggi e rollii di una sicurezza vacillante. Grande palazzo in preda al terremoto! Li senti, i laceranti scricchiolii? Odi questa crepa che, brivido lungo la spina dorsale, lo percorre dalle fondamenta, dal basso all’alto, squarcia tutti gli alti piani fino all’ultimo, più segreto, intimo ed inespugnabile terrazzo, quello biblicamente occupato dal profumo di bucato e da panni che sbattono al fresco vento asciugatore? È il sole che scricchiola, è il vento che riluce: mentre crolla il grande palazzo, vestigia antica di un’architettura desueta, mentre il suo grande cuore palpita – cuore di cemento! Non ne senti i fragorosi ultimi colpi battere battere battere? – nelle centrali stanze dai muri scrostati, un piccolo cuore di bimbo, dimenticato dal mondo di fuori, piano, palpita piano, palpita gl’ultimi colpi piano, palpita pochi delicati infantili colpi piano… Nel buio fragore dell’edificio nel sisma, contro i colpi del cuore di cemento che rimbombano forti, si ergono quei piccoli soffi di un cuoricino febbricitante: al fianco non c’è una Madonna che piange un sorriso, non c’è una mano che scende a salvarlo. Sussulta nel crollo il grande edificio, sussulta e crolla, i soffitti di legni pregiati, i grandi saloni dalle pareti di marmo, franano gli uni sugli altri, soffocano con un ultimo colpo quel fragoroso cuore dalle sistoli in calcestruzzo. E nel nuovo silenzio, nella calma della polvere inerte che cade e volteggia, tu tendi l’orecchio: dov’è quel flebile palpito d’un cuoricino? Risponde la polvere, rispondon macerie: è il silenzio. Chi è il responsabile, di chi l’alito che ha fatto crollare il fittizio castello di carte? Risponde la polvere, rispondon macerie: è, solo, silenzio.

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